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Tag: no gender gap

Come si combatte il Gender Gap? Intervista ad Alessandra Dorigo, Assessore alle Pari Opportunità della città di Rivoli

Girls Tech ha intervistato Alessandra Dorigo, Assessore alle Pari Opportunità della città di Rivoli. Interessanti spunti di riflessione che riguardano l’impegno della politica nella lotta al gender gap in ambito STEM e sociale sono emersi durante questo incontro.

L’11 febbraio è la giornata mondiale delle donne nella scienza. Assessore, in quale misura la scienza e l’uguaglianza di genere sono importanti per la crescita e lo sviluppo della società?

“La scienza ha da sempre svolto un ruolo fondamentale per il progresso e per il benessere della società. La donna negli ultimi decenni ha avuto un accesso più agevolato all’istruzione, basti pensare che il 60% delle persone laureate attualmente è di sesso femminile. È cresciuto, inoltre, l’interesse in ambito STEM. Il grande vantaggio di questo crescente fenomeno è quello di poter avere una seconda opinione, un secondo punto di vista, che prima non era mai stato preso in considerazione. Oggi, quindi, abbiamo la possibilità di avere un approccio più pratico alle scoperte scientifiche della società”.

Negli ultimi anni molti sforzi sono stati fatti per far fronte alla disuguaglianza sociale a favore dell’inclusività in ambito STEM. Tuttavia, c’è ancora molto da fare, basti pensare che a oggi le donne sono meno del 30% dei ricercatori in tutto il mondo. In Italia, secondo i dati Eurostat siamo solamente al 23° posto con il 35% circa di donne scienziate e ingegneri. Quali sono a suo avviso i pregiudizi ancora da abbattere? 

“In una società in cui le donne hanno possibilità di accedere all’istruzione – e bisogna ricordarsi che non è così ovunque – abbiamo assistito a un aumento di interesse nell’ambito scientifico. Il pregiudizio va ricercato nella nostra struttura sociale quando si afferma che una professionista deve scegliere tra famiglia e carriera. Spesso si pensa che i figli potrebbero essere un peso per la donna, invece sono un plus, un bagaglio di esperienze. Bisognerebbe sempre prendere in considerazione le capacità piuttosto che il “peso” della famiglia e dei figli. Una donna lavoratrice è una donna che può avere una famiglia, se lo desidera, senza che ciò influisca in alcun modo negativamente sul suo percorso lavorativo”.

Quali sono le vie più efficaci da percorrere per favorire l’inclusività di genere? Da dove bisogna partire?

“A mio avviso, bisogna partire da tre temi principali: istruzione, sostegno alle famiglie e modelli positivi a cui le nuove generazioni possano ispirarsi. È importante dare la possibilità alle famiglie di sostenere i propri figli nell’istruzione, questo vale ovviamente sia per i maschi che per le femmine. È essenziale, inoltre, educare i figli a essere autonomi in base alle proprie esigenze. E, infine, penso che sia fondamentale fornire dei modelli positivi che riguardano la presenza femminile in ogni ambito della società soprattutto in quello scientifico, invogliando così le nuove generazioni a eguagliare e promuovere questi modelli”.

Assessore, il presente ci pone, dunque, sfide complicate da affrontare. In questa battaglia che ruolo svolge la politica?

“La politica svolge un ruolo molto importante in quanto raccoglie le richieste dei cittadini e può utilizzarle per stimolare il tessuto sociale. Parlando di Rivoli, il mio territorio, la prossima settimana si costituirà la “consulta delle donne” che raggrupperà figure di diverse professionalità incaricate di raccogliere i bisogni reali dei cittadini. Come assessore alle pari opportunità sto cercando di portare avanti diversi progetti come la prevenzione, la lotta alla violenza di genere e il tema dell’istruzione”.

Come se lo immagina il futuro?

Senza quote rose. È una provocazione. Questo non vuol dire che le donne non devono essere rappresentate, anzi, ma vuol dire che la donna non deve essere una “quota rosa”. Non devono esserci differenze: le donne, esattamente come gli uomini, devono essere premiate in base alle proprie esperienze”.

Le andrebbe di lanciare un messaggio alle future generazioni?

“Il messaggio si riassume in 4 punti: studio, viaggio, tradizioni e impegno nel sociale. Lo studio è fondamentale per cercare di capire gli sbagli del passato ed evitare di rifarli nel futuro. È importante conoscere la cultura e il nostro territorio scoprendo le tradizioni locali. Per quanto riguarda l’impegno sociale è difficile oggi coinvolgere i più giovani, nonostante il volontariato giochi un ruolo fondamentale nella nostra società. Un sorriso di una persona aiutata può sicuramente ricambiare tutto il tempo dedicato agli altri”.

Alessandra (quindi anche fuori dal suo ruolo istituzionale), se avesse la bacchetta magica, che tutto permette di fare senza fatiche e senza limiti, cosa farebbe? Ci dice 3 cose che farebbe subito senza neanche pensarci tanto? (non solo a livello locale)

“Tutti sicuramente desideriamo in primis uscire presto dalla pandemia. Un desiderio lo spenderei sul tema del lavoro declinato per i più giovani. Il mio secondo desiderio è sulla sicurezza intesa come difesa nei confronti delle donne, arginando gli episodi di femminicidio, drammaticamente aumentati con la pandemia. Utilizzerei infine l’ultimo desiderio per il rilancio economico sul tema della cultura e delle eccellenze italiane con uno sguardo importante rivolto all’ambiente”.

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni e i loro sogni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

Dalla curiosità di “scoprire come sono fatte le cose” alla direzione generale del CERN di Ginevra. La storia di Fabiola Gianotti

Oggi faremo un salto nelle stanze del più importante laboratorio al mondo di ricerca nucleare, il CERN di Ginevra, per raccontare la storia della sua prima Direttrice Generale donna: la fisica italiana Fabiola Gianotti. 

Fisica “per caso” 

Fabiola Gianotti nasce a Roma nel 1960. La sua passione per le materie scientifiche, in particolare per la fisica, prende forma quasi per caso, all’Università degli Studi di Milano. 

La Gianotti, infatti, in gioventù frequenta il liceo classico e consegue il diploma di pianoforte al Conservatorio: percorsi apparentemente molto distanti da quella che sarà poi la carriera che la condurrà a diventare una delle donne più influenti al mondo. 

La scelta di conseguire la laurea in fisica presso l’università di Milano nasce dalla curiosità di “scoprire come sono fatte le cose”. Secondo la sua visione “la conoscenza è connaturata allo spirito umano, come la bellezza di un’opera d’arte. Fa parte di noi porci delle domande, cercare le risposte e condividerle con gli altri” (intervista per Repubblica, aprile 2016).

Spinta da questi ideali di conoscenza decide di continuare i suoi studi conseguendo il dottorato di ricerca in fisica sub-nucleare e vincendo una borsa di studio biennale bandita dal CERN di Ginevra. A seguito di questa esperienza viene assunta definitivamente come ricercatrice del Dipartimento di fisica per poi essere eletta, nel 2014, Direttrice Generale dell’Organizzazione Europea per la ricerca nucleare (CERN): la prima donna a ricoprire un simile incarico.

Il contributo di Fabiola Gianotti alla scoperta del bosone di Higgs

Nel corso della sua carriera professionale la ricercatrice italiana ha partecipato a importanti progetti, uno fra tutti l’esperimento “Atlas”, del quale è stata coordinatrice internazionale dal 2009 al 2013, noto per aver fornito i dati che portarono alla scoperta da Nobel del bosone di Higgs.

Il bosone di Higgs è una particella molto speciale: potrebbe essere una porta verso una nuova fisica“, aveva dichiarato entusiasta all’Ansa la Gianotti aggiungendo: “in questo momento così entusiasmante per la fisica, essere a capo del CERN è un lavoro bellissimo […] una collaborazione internazionale fatta di ricercatori di tutto il mondo, all’insegna della pace”. 

Nel 2012 il celebre settimanale americano “Time” le ha dedicato la copertina, inserendola anche come quinta in classifica nella lista “Personality of the year” e nel 2017 è entrata a far parte della Top 100 delle donne più potenti al mondo stilata da Forbes

Contro il gender gap tecnologico

Il percorso di Fabiola Gianotti ci insegna che il successo e i grandi traguardi si raggiungono solamente con tanta determinazione, passione e curiosità. La storia della fisica e delle grandi scoperte è fatta di vicende come quella che vi abbiamo appena raccontato, in grado d’ispirare tutte quelle donne desiderose di coltivare le proprie passioni in ambito STEM. 

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

“Female Gaming”: il videogioco come strumento per capire noi stessi

A volte, riconoscersi in un personaggio di un videogioco può aiutare a trovare un valido sostegno per poter esprimere la propria personalità. Questo accade molto di frequente nei più giovani. In passato molte rappresentazioni femminili che ci sono state proposte erano troppo spesso condizionate da pregiudizi. Oggi le cose sono cambiate. Sembra essere ormai lontano e sorpassato lo stereotipo della principessa in pericolo da salvare.

Il mondo del gaming sta cambiando e con esso anche la figura femminile.

Le donne sono diventate finalmente le protagoniste indiscusse di avventure memorabili per gli amanti dei videogiochi di tutto il mondo. Dietro questo cambio di paradigma e di narrazione negli ultimi anni troviamo anche una crescita esponenziale della presenza femminile all’interno del mercato dei videogiochi rispetto al passato. Stando al recente rapporto pubblicato da IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), oggi i giocatori di sesso maschile rappresentano solo il 53% rispetto a quelli di sesso femminile con il 47% del totale. l report “Gaming e eSport in Italia” pubblicato da Nielsen Sports & Entertainment per Intel ha evidenziato, inoltre, che il 43% dei fan di eSport appartiene al genere femminile.

Numeri importanti che testimoniano un cambiamento epocale. Siamo andati a esplorare la recente storia dei videogiochi per capire bene alcune dinamiche di questa evoluzione. Partendo da Ms. Pac-Man, icona femminile dei videogiochi che ha segnato intere generazioni di giocatori, per arrivare a Maxine Caufield, protagonista di Life is Strange.

Ms. Pac-Man: la versione “super” di Pac-Man

Ms. Pac Man è la protagonista del secondo titolo della serie Pac-Man. Nato nel 1981 il videogioco è considerato uno dei più popolari “cabinati” di quegli anni. La trama è piuttosto “rivoluzionaria”: assistiamo probabilmente per la prima volta a un vero e proprio ribaltamento di prospettiva rispetto alle narrazioni tradizionali dove a essere salvata era sempre una donna. In questo caso infatti sarà la signora Pac-Man a salvare il proprio compagno.  

Ms. Pac-Man è stata acclamata dalla critica per i suoi notevoli miglioramenti al gameplay originale a tal punto da diventare “superiore” alla sua versione precedente, al maschile.


Ellie: la forza dell’empatia e della solidarietà

Ellie è la co-protagonista della serie The Last of Us (2013), creata e sviluppata da Naughty Dog. Non stiamo parlando di un personaggio con particolari abilità soprannaturali. Si tratta di una giovane ragazza che si trova a vivere in un contesto particolarmente difficile: il racconto si svolge in un’America devastata da un’epidemia che ha causato la mutazione di milioni di persone in esseri non senzienti e ostili. Ellie è un personaggio particolarmente empatico, che ha il merito di trasformare l’intera avventura in una storia dalle emozioni uniche.

Nonostante le numerose avversità e la violenza della guerra, la giovane protagonista riuscirà a conservare la sua “umanità” aiutando Joel un cinico compagno di avventura nella lotta per la sopravvivenza.


Madeline: come conoscere se stessi attraverso il gaming

Il prossimo personaggio femminile che andremo a scoprire è Madeline, protagonista di Celeste (2018), il videogioco indie sviluppato da Matt Thorson e Noel Berry, in collaborazione con lo studio brasiliano MiniBoss. La storia del gioco narra le vicende avventurose di una ragazza che, nel tentativo di ritrovare se stessa e superare la sua depressione, decide di scalare la montagna Celeste, situata nel Canada Occidentale. Nel corso della scalata si susseguiranno incontri inaspettati e misteriosi eventi che segneranno l’evoluzione del nostro personaggio. Madeline sarà, infatti, chiamata a incontrare la “parte oscura di se stessa” che tenterà più volte di ostacolarla. Nonostante le cadute e le avversità imparerà a governare le sue ansie e paure.


Edith Finch Jr.: le storie e i ricordi dopo la morte

Edith Finch Jr. è uno dei protagonisti del videogioco sviluppato da Giant Sparrow e pubblicato da Annapurna Pictures, dal nome What remains of Edith Finch” (2017). La trama racconta le vicende della sventurata famiglia Finch i cui membri sono destinati a morte certa, a causa di una misteriosa sorte avversa. Anche la giovane Edith muore di parto a soli diciassette anni, lasciando al figlio un diario in cui sono raccolti i segreti della famiglia. Il videogioco si struttura attorno al tema della morte, ma affrontato da una prospettiva nuova, onirica. Non si concentra mai, infatti, sulla narrazione dell’evento morte fine a se stesso, ma piuttosto si focalizza costantemente su come hanno vissuto i personaggi, sulle loro aspirazioni e su cosa hanno lasciato ai posteri. Da qui il titolo “cosa resta di Edith Finch”.


Maxine Caufield: come giocare con il tempo

Meglio conosciuta come Max è il personaggio di Life is Strange (2015), l’avventura grafica a episodi sviluppata da Dontnod Entertainment e pubblicata da Square Enix. La nostra protagonista è un’aspirante fotografa che frequenta la Blackwell Academy. Qui scopre improvvisamente di possedere il super potere di viaggiare indietro nel tempo dopo che una sua cara amica, Chloe Price, è stata uccisa. Nel corso del gioco i super poteri di Max saranno messi alla prova, nel momento in cui dovrà salvare l’intera città di Arcadia Bay da una tempesta in arrivo.


In conclusione…

I videogiochi hanno molto da insegnarci. Ci spingono a viaggiare lontano con la fantasia, ma anche a riconoscere se stessi e a superare le proprie insicurezze. Ci fanno scoprire che in fondo le nostre emozioni e i nostri desideri sono “universali”, che non siamo isolati dal resto del mondo. Ci fanno capire che siamo tutti più “umani” e che in fondo apparteniamo a un grande universo videoludico che abbraccia sfera femminile e maschile. Il cambio di prospettiva che abbiamo riscontrato nel corso di questo piccolo viaggio sta a testimoniare non solo che il ruolo delle donne nei videogiochi è mutato nel corso degli anni, ma anche che questo cambiamento ha spinto le industrie dei videogiochi a rivolgere maggiormente la propria attenzione sulla sfera “psicologica”.

Siamo tutti più “umani”. E le donne questo lo sanno bene.

Autore: Luca Greco (Copywriter di Synesthesia).

Con la collaborazione di Marco Mazzaglia (Video Game Evangelist di Synesthesia) e Valeria Bonicelli (Stagista divisione Comunicazione di Synesthesia).

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

Dalla Luna a Marte: i sogni (STEM) di “Astro Giulia”

Come potrebbe cambiare la prospettiva dell’uomo a seguito della recente scoperta su Venere? Come si combatte il gender gap in ambito STEM? Perché è così importante per l’uomo andare su Marte? Quanto contano i sogni per diventare astronauta? Di questo e molto altro ancora “Astro Giulia” (scrittrice e aspirante astronauta) ci parlerà all’interno di questa intervista.

Giulia, 3 aggettivi per descriverti.

Efficiente, perché tutte le volte che mi ritrovo a fare un lavoro, la cosa che conta è arrivare al risultato. Sono molto determinata da questo punto di vista. Ho sempre piani, scalette e piccoli obiettivi da raggiungere. Creativa, perché non sono mai ferma un secondo e mi trovo sempre qualcosa da fare, non solo nel campo della scrittura… Perché Poliedrica?  Perché faccio tante cose in tanti campi diversi. Sono abbastanza poliedrica, ma non politecnica però”.

Astro Giulia”, questo è il tuo account instagram. Quanto ti descrive questo aggettivo? Astronauta si diventa? Da dove nasce questa smisurata passione per l’astronomia?

Astro descrive la parte di me che è appassionata di astronautica e di spazio. Questa storia di Astro Giulia è cominciata nel 2016, quando avevo circa 16 anni. Volevo imitare gli astronauti, quelli veri, che sui social si chiamavano astro qualcosa… In questo modo ho dato il via a un fenomeno per il quale tante altre persone appassionate di spazio si sono chiamate anche loro in questo. Astronauta chiaramente si diventa. Io sono dell’idea che i tratti delle persone possano essere migliorabili. Lo vedo come un processo in divenire. Ho scoperto tutto il campo dell’astronautica e dell’ingegneria quando ero in terzo liceo, quando l’astronauta Samantha Cristoforetti è andata nello spazio. Grazie a lei ho scoperto tutto questo mondo. Mi ha appassionato tantissimo tutto il campo del progettare e del capire come andiamo nello spazio”.

Nel 2018 è stato pubblicato “Ad Martem 12”, il tuo primo romanzo di fantascienza che parla della vita dei primi esseri umani nati sul pianeta Marte. Il tuo libro si basa sui tuoi studi scientifici, frutto di un lungo lavoro effettuato per un concorso aerospaziale nel 2016 all’Odysseus Space Contest. Ti va di raccontarci questa tua esperienza? Che cosa rappresenta per te Marte?

“Nel 2016 ho deciso di partecipare a questo concorso su consiglio del mio professore di fisica e ho deciso di trascinarmi dietro un mio compagno di classe. Volevamo sviluppare il progetto di una base su Marte. In qualche modo siamo riusciti ad andare avanti nella competizione e credo che questo sia stato molto incentivante perché abbiamo cominciato a parlare con esperti e con professori del Politecnico. Abbiamo iniziato a studiare di più la questione, approfondirla e sviluppare il progetto sempre di più, fino a quando non abbiamo vinto le semifinali internazionali e ci siamo trovati a volare in Belgio per le finali europee.

Qui mi sono ritrovata a per la prima volta a presentare il mio progetto in inglese di fronte a una giuria internazionale di esperti. Quello è stato il momento in cui ho iniziato a pensare che forse effettivamente qualsiasi cosa potesse accadere. Insomma, se io mi impegnavo le cose potevano accadere perché, accidenti, ero in Belgio a parlare di un progetto scientifico che avevo sviluppato! È stata una cosa incredibile. Poi la competizione non l’abbiamo vita perché ha vinto un team portoghese che aveva progettato un rover pazzesco, però quello che mi ha dato quella competizione è stato tantissimo: mi sono ritrovata con una tale quantità di conoscenze riguardo la fattibilità delle missioni su Marte che non era nemmeno normale per una ragazzina di 17 anni.

Quello è stato il momento in cui ho deciso che mi sarebbe piaciuto diventare un’esperta delle missioni su Marte, qualcosa che ancora adesso sto cercando di perseguire. Quello è stato anche il momento in cui ho deciso di scrivere il mio primo romanzo Ad Martem 12. Sono sempre stata appassionata di scrittura e scrivere un libro è sempre stato il mio sogno, ho pensato di applicare quelle conoscenze a una storia. Siccome avevamo progettato un ambiente abitabile sulla superficie di Marte e siccome essendo abitabile ci sarebbero dovute teoricamente andare delle persone, ho iniziato a domandarmi: “e se ci fossi nata io lì, se fossi stata cresciuta su Marte in che modo vedrei la Terra? In che modo vedrei  l’umanità?. Insomma, che visione avrei del mondo? Marte è diventato un pianeta a cui mi sono affezionata particolarmente. Adesso sto lavorando a due ricerche internazionali, due programmi di ricerca, entrambi relativi a Marte: una riguarda le radiazioni cosmiche e l’altra riguardo alla sostenibilità delle missioni dello spazio. Diciamo che sto continuando a perseguire il mio sogno di diventare esperta di missioni su Marte, ma sarà un lungo viaggio”.

Nel 2019 hai ottenuto un importante riconoscimento in campo astronomico diventando la coordinatrice nazionale dell’MVA (Moon Village Association), l’associazione globale non governativa fondata a Vienna nel 2017 con l’obiettivo di promuovere la realizzazione di un villaggio lunare e le missioni lunari umane. Perché è ancora importante per l’uomo andare sulla Luna?

“In passato siamo andati sulla Luna per ragioni politiche. Adesso ci stiamo tornando per la scienza, perché c’è ancora tantissimo da scoprire. La Luna sarà il punto di partenza per arrivare su Marte. Noi andremo sulla Luna per restarci con uno stabilimento autonomo, che sarà molto simile rispetto a quello che avremo su Marte. La differenza è che Marte è a 6 mesi di viaggio con un segnale elettromagnetico che impiega 10 minuti per andare e per tornare. La Luna è invece qui dietro, a qualche giorno di distanza. La Luna sarà un luogo di prova, di test per le nostre tecnologie, per capire se siamo in grado di andare su Marte”.

Venere, il Pianeta più splendente torna in questi giorni ad affascinare e incuriosire il nostro immaginario a seguito della recente scoperta secondo la quale vi sarebbero tracce di vita nella sua atmosfera. Ti va di commentare questa notizia con noi? Se tutto ciò fosse davvero confermato, che cosa cambierebbe per l’uomo?

“La recente scoperta che è stata fatta su Venere non ci dice con certezza che ci sia davvero vita nell’atmosfera di Venere. La fosfina è stata trovata in una quantità così abbondante che gli scienziati non riescono a spiegarselo. Loro hanno avanzato diverse opzioni per spiegare chimicamente o fisicamente la presenza di questa molecola. Hanno fatto i loro calcoli numerici, i loro ragionamenti e nessuno è risultato corretto. L’unica soluzione altrimenti possibile è che la fosfina sia originata da organismi viventi. Tuttavia, non è 100% confermato che si tratti di vita perché potrebbero esserci altre soluzioni che al momento ancora non conosciamo. Nel momento in cui noi troveremo altre specie da altre parti dell’universo, finalmente potremmo capire qual è l’origine della vita perché noi abbiamo determinate teorie. Trovare la vita da qualche altra parte e capire come si è originata potrebbe avere dei riscontri per capire come la vita si sia originata sulla Terra”.

Lo scorso 2 febbraio, al TEDxTorino ci hai fatto comprendere l’importanza di avere coraggio di esplorare e di mettersi in gioco. Quanto contano i sogni per il raggiungimento di un obiettivo così ambizioso? 

“Io ho il grande sogno di diventare astronauta, che è un sogno enorme, lontanissimo e difficilissimo. Penso che i sogni siano il motore che ci consentono di andare avanti durante i periodi difficili e ci portano in luoghi che mai ci immagineremmo. Ci danno opportunità che mai ci immagineremmo…”.

Che effetto ha avuto sulla tua personale esperienza la figura di Samantha Cristoforetti?

Samantha Cristoforetti è stata la persona grazie alla quale ho trovato la mia strada. Quindi, per questo motivo per me lei significa molto. Io ancora adesso continuo ad avere grande ammirazione nei suoi confronti perché lei non è solo un astronauta. Lei è anche un pilota militare e una mamma. Al momento è in Cina, che studia cinese e si allena con i taikonauti. Io trovo che sia una cosa incredibile riuscire a fare tutto questo. Lei è il mio idolo, il mio esempio di realizzazione”.

Secondo Giulia come si combatte il gender gap? È qualcosa su cui rifletti anche per quello che potrebbe essere il tuo lavoro del futuro? Lancia un messaggio a tutte quelle ragazze che come te sono appassionate di materie STEM. 

“Io non do peso al fatto di essere donna perché la scienza è per tutti. La scienza ha bisogno di tutti; ha bisogno di attenzione, non importa chi siamo, l’importante è che siamo appassionati per quello che facciamo. Lo STEM è un mondo meraviglioso; la scienza è qualcosa di veramente bellissimo. È un mondo che è complesso e impegnativo perché ci sono materie non troppo facili da studiare, da comprendere e da affrontare. Si tratta di qualcosa che richiede anche dei sacrifici, La scoperta scientifica, la ricerca e tutto ciò che in qualche modo aiuta la nostra società, migliora e porta al progresso penso sia qualcosa di incredibilmente importante e che abbia bisogno di persone appassionate. Quindi se voi sentite che questa è la vostra vocazione e che è quello che volete fare, venite perché la scienza vi accoglie a braccia aperte”.

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni e i loro sogni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

Come sarà l’umanità del futuro? Ce lo svela l’antropologia digitale. Intervista ad Alice Avallone

Che cosa studia l’antropologia digitale? Che rapporto c’è tra la tecnologia e la cultura? Come è cambiato il nostro comportamento in Rete dopo il Covid? Di questo e molto altro ancora Alice Avallone (direttrice dell’Osservatorio di Antropologia digitale Be Unsocial) ci parlerà all’interno di questa intervista.

Alice, tra le tante attività che svolgi in ambito digitale, dirigi un interessante progetto editoriale, l’Osservatorio di Antropologia digitale Be Unsocial. Di cosa si tratta esattamente? Come nasce l’idea di dar vita a questa iniziativa di antropologia digitale?

Be Unsocial ha radici lontane. Sono inciampata sull’etnografia digitale per caso parecchi anni fa ed è stato amore a prima vista. Non poteva essere altrimenti: ho un background ibrido, a cavallo tra lettere moderne prima e pubblicità, e da tempo cercavo di portare un approccio più umanistico nel mio lavoro di digital strategist. L’etnografia digitale mi ha fatto capire che era possibile affiancare al marketing uno sguardo più autentico e vicino alle persone. Da queste premesse, il mio interesse per l’antropologia digitale è esploso negli ultimi due anni e la nascita di Be Unsocial ha coronato il sogno di portare questa cultura anche nel nostro Paese e nei processi aziendali.

Avvicinarsi all’antropologia digitale è come intraprendere un viaggio che si rivela essere molto più lungo di quanto avevi inizialmente programmato. Lo scopo del mio osservatorio è quello di fornire mappe utili per capire come noi esseri umani ci muoviamo in Rete. Si impara tanto degli altri, che possiamo osservare come vere e proprio tribù, ma anche di noi stessi. Questo accade perché tale disciplina cerca di trovare un equilibrio tra l’universale e il particolare, tra somiglianze e differenze. Cerca di comprendere le connessioni all’interno della società e il digitale, e di spiegare le interrelazioni con i dispositivi tecnologici che ci circondano”. 

Che cosa vuol dire essere una ricercatrice di cultural insight e small data per le aziende tecnologiche? 

“Significa comprendere innanzitutto le identità culturali delle persone, dove per “cultura” non intendiamo “quanti libri hanno letto o quali musei hanno visitato” ma quell’insieme di pattern che sono adottati nella quotidianità: i gesti, le abitudini, le credenze, le emozioni che si provano. Sono tutti insight importanti, ovvero conoscenze che possiamo raccogliere sul pubblico. A volte si usa il termine “thick data”, proprio per sottolineare che si tratta di informazioni “di un certo peso”; altre semplicemente si usa small data, perché in fondo sono piccoli dati visibili solo a un occhio umano.

Tornando al termine “cultura”, è interessante notare come questo termine abbia origine dalla parola latina colere, che si traduce “coltivare”. In effetti, l’antropologia cerca di far avanzare la conoscenza sugli aspetti dell’umanità che non sono naturali (innati) ma piuttosto coltivati, acquisiti. Come i comportamenti, le relazioni e il linguaggio. E sono proprio questi tre aspetti a essere indagati dall’etnografia digitale soprattutto quando applicata al mondo corporate. È immenso il patrimonio di conoscenze che un brand può acquisire semplicemente grazie all’osservazione dei propri consumatori: come si comportano con il loro prodotto, quali sono le leve di engagement dentro la community di riferimento, che linguaggio utilizzano. Small data, appunto, che affiancano i risultati dell’analisi quantitativa (e che spesso ne restituiscono un significato)”.

Che rapporto c’è secondo te tra la tecnologia e la cultura?

“La relazione tra le due è strettissima, un tutt’uno. Basta stare a una delle definizioni più classiche di cultura fatta risalire all’antropologo vittoriano Sir Edward B. Tylor, che nel 1871 definì la cultura come “quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, le arti, la morale, la legge, i costumi e ogni altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo”. Una definizione questa che ci suggerisce che la cultura si riferisce alle capacità mentali (pensieri) e al comportamento (azioni); implica che sia appresa e condivisa, integrata e dialettica. Non è forse questa la natura stessa della Rete? 

La cultura è l’insieme di capacità, nozioni e forme di comportamento che gli individui hanno acquisito come membri di una società. E la tecnologia, in tutte le sue forme, ne è la massima espressione. In antropologia, per “artefatti culturali” ci si riferisce a tutto ciò che è stato creato da un essere umano che può fornirci informazioni sulla cultura del suo creatore e degli utenti. Eccoci dunque a studiare gli strumenti – smartphone, tablet, assistenti vocali – ma anche l’uso che si fa di questi strumenti – selfie su Instagram, video su TikTok, recensioni su Amazon”. 

Che rapporto hai tu con le nuove tecnologie?

“Sono curiosa, e mi approccio agli strumenti da consumatrice, prima ancora che da ricercatrice. Mio padre è stato un early adopter di ogni genere di tecnologia e così ho avuto la fortuna di crescere tra i primi computer e cellulari, nonché di potermi muovere in Rete quando ancora era poco diffusa in Italia. Ero piccola, e mai avrei immaginato che un domani sarebbe diventato il mio lavoro. 

Con l’adolescenza, ho vissuto poi un lungo periodo nerd: smontavo i case, montavo schede grafiche, passavo intere giornate prima sulle messaggerie e poi su IRC. A guardarmi indietro, ciò che mi affascinava di più era capire cosa c’era dietro agli strumenti che abitavano la mia casa e come le persone interagivano tra loro online. Ieri come oggi”.

Nel 2018 hai pubblicato il primo saggio italiano sull’approccio netnografico “People Watching in Rete. Ricercare, osservare, descrivere con l’etnografia digitale” (Cesati). Perché è così importante studiare il comportamento degli utenti in rete?

“Perché siamo esseri umani anche dietro ai nostri schermi, con le nostre paure e i nostri bisogni. Ed è riduttivo segmentare gli utenti in Rete secondo le logiche del marketing e delle personas. Siamo molto altro, e possiamo scoprirlo solo attraverso l’osservazione umana che va ben oltre le analisi di mercato. 

Come riporto nel primo capitolo del libro, il gesto del trasformare in storie i dati raccolti dall’osservazione è antichissimo. Erodoto, per esempio, già nel quinto secolo avanti Cristo, ha scritto dei “popoli barbari” a Est e a Nord della penisola greca. Ha fatto quello che oggi fa un netnografo: si è impegnato in uno studio culturale comparativo nel confrontare i costumi e le credenze di queste “community” con quelli di Atene. Perché Erodoto prima e noi dopo osserviamo gli altri? Per contestualizzare il presente, capire il passato, e soprattutto tracciare la proiezione del futuro. Osservare aiuta a prevedere ciò che potrebbe accadere, quali trend potrebbero prendere piede e diventare nuovi riti”.

Come è cambiato il nostro comportamento in Rete dopo il Covid?

“Ad Aprile, ero convinta che qualcosa stesse cambiando nel nostro uso dei social media: sembrava stessimo diventando tutti più consapevoli dell’esposizione in Rete. Mi sono dovuta ricredere a posteriori, lo ammetto. A livello individuale, a conti fatti, l’emergenza sanitaria non ci ha reso persone migliori; semplicemente, ci ha resi più “noi stessi”, più autentici agli occhi degli altri. Il lockdown ha imposto una narrativa più reale, ma non perché abbiamo capito chissà quale valore spirituale della vita. Semplicemente, ciò che poteva rappresentarci era limitato: per mesi al posto degli aperitivi in piazza o a bordo piscina, abbiamo pubblicato il pane fatto in casa perché era la massima rappresentazione “patinata” che potevamo fare di noi. Con le riaperture, siamo tornati a fare quello che facevamo prima: essere indignati su Facebook e mostrare le spiagge paradisiache su Instagram. Un ulteriore segno che l’essere umano si adatta a ogni circostanza, ma tende a non voler cambiare schemi di comportamento”.

È possibile rintracciare nel linguaggio dei social network tracce di futuro?

“Certamente, ma occorre non fare l’errore che ho commesso io durante il lockdown:avere fretta di giungere a conclusioni e dare giudizi affrettati. Intercettare tracce di futuro significa avere pazienza, immaginare scenari, collezionare segnali, mappare delle ricorrenze di comportamenti, usi e costumi sul medio e lungo termine. Su questo uno strumento estremamente interessante da usare come punto di partenza è Google Trends, che ci permette di monitorare gli andamenti delle tracce che stiamo seguendo”.

Parliamo ora di un tema particolarmente caro a GirlsTech, il gender gap in ambito STEM. Secondo Alice a che punto siamo oggi? 

“Uno dei miei principali campi di interesse con Be Unsocial riguarda la Generazione Alpha, i bimbi nati dopo il 2010 per intenderci. Ancora più delle generazioni precedenti, gli Alpha tendono a imparare e giocare allo stesso tempo. I contenuti “a domicilio” su YouTube stanno diventando sempre più popolari, soprattutto quelli che stimolano le competenze STEM. Interessanti, peresempio, i casi esteri di Coding
Critters
, RosieReality e Funexpected. Oppure Amazon STEM Club, che incoraggia l’esplorazione e la creatività tra bambini di tre e quattro anni con giocattoli scelti da esperti.In Italia seguo con interesse il progetto Stem*Lab Scoprire Trasmettere Emozionare Motivare, selezionato da Con I Bambini Impresa Sociale nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile e coordinato dal Consorzio Kairos di Torino. Insomma, da osservatrice esterna, le cose si stanno muovendo lentissime, ma nella giusta direzione”.

Ultima domanda: Alice cosa farà nel futuro?

“Sarò breve: porterò avanti Be Unsocial, cercando di far crescere in Italia la conoscenza di questa affascinante materia che è l’antropologia digitale e la consapevolezza del valore degli small data che si possono raccogliere. Soprattutto per i brand”. 

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo. Noi continueremo a raccontarvi le loro visioni e i loro sogni perché crediamo che un mondo STEM più inclusivo e senza differenza di genere sia possibile.

“Generazione Marte 2033”: i sogni di Alyssa Carson

Oggi vi racconteremo la storia di Alyssa Carson, la giovane apprendista astronauta che sogna di diventare il primo essere umano a mettere piede su Marte nel 2033.

Classe 2001, la ragazza di Baton Rouge (Louisiana) ha determinazione da vendere e grandi sogni da realizzare. Ha da poco terminato la Advanced PoSSUM Academy – il programma per ragazzi delle superiori e dell’università per la ricerca atmosferica e il volo spaziale con equipaggio – ottenendo una certificazione ufficiale che le consentirà di viaggiare nello spazio.

L’astronomia, una passione smisurata

All’interno del suo blog intitolato nasablueberry.com, la giovane apprendista astronauta scrive che la sua passione per i pianeti e l’astronomia a quando aveva appena tre anni, grazie al cartone animato The Backyardigans. Alyssa ha già partecipato a diverse esercitazioni e simulazioni e, a 12 anni, è stata la prima ragazza nella storia a frequentare tutti e tre i NASA Space Camps organizzati dalla NASA negli Stati Uniti, in Canada e in Turchia. Spinta dalla sua profonda passione, nel corso degli anni, ha visitato tutti i 14 NASA Visitor Center sparsi negli Stati Uniti completando per prima il NASA Passport Program. Niente male per una ragazza di soli 18 anni.

Progetti futuri?

Alyssa ha dichiarato che al termine delle scuole superiori continuerà i suoi studi all’università in astrobiologia per poter proseguire il suo percorso di specializzazione, diventando di fatto la più giovane donna ad aver mai inviato la propria candidatura all’International Space University a Strasburgo.

Prossima tappa: Marte 2033

Potrebbe essere, dunque, davvero lei la prima astronauta a mettere piede sul Pianeta Rosso? Stando ad alcune indiscrezioni rese note dal numero uno della Nasa, Jim Bridenstine, ci sarebbero candidate donne al vaglio per i futuri progetti su Marte (è probabile che sia una donna anche il prossimo astronauta a tornare sulla Luna). L’agenzia spaziale statunitense starebbe, infatti, monitorando i suoi progressi per inserirla nella missione spaziale della NASA Mars One, prevista per il 2033. Alyssa ci crede e nel frattempo viaggia per il mondo – nelle vesti di una dei 7 ambasciatori selezionati dalla NASA per questa missione – per raccontare ai suoi coetanei la bellezza di esplorare ciò che si trova (molto) oltre l’orizzonte.

La Fondazione Blueberry: come dar vita ai propri sogni (STEM)

Non solo formazione e viaggi nel mondo per la giovane Alyssa. Tra le sue tante iniziative vi è anche la Fondazione Blueberry, che si pone l’obiettivo di incoraggiare ragazzi e soprattutto ragazze a dare vita alle proprie aspirazioni in ambito STEM.

Nella biografia del suo profilo Instagram (@nasablueberry) Alyssa ama definirsi come una “Future Mars Walker”, ricordandoci quanto siano grandi le sue convinzioni e la sua tenacia. Oggi vogliamo raccontarvi la sua storia perchè ci piace pensare che non sempre i sogni sono destinati a rimanere tali, anche si trovano tra le stelle, là dove nessuno è arrivato prima. Forza Alyssa!

Benvenuti nella generazione Marte.

Continuate a seguirci per scoprire le prossime storie di donne che stanno cambiando il mondo.

Aggiornamento 21/06/2021
In occasione dei 10 anni di Synesthesia abbiamo intervistato in esclusiva Alyssa Carson. Guarda il video.

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